Attivista della presenza e formatrice. Facilito il cambiamento. Diffondo pratiche di presenza corporea e di ascolto per accrescere la consapevolezza di sé e favorire la comunicazione reciproca.
Incoraggio le persone a riconnettersi con sé stesse e con la bellezza del proprio mondo interiore perché possano tornare a sentirsi intere e vivere pienamente.
Tutte le mie proposte, sia quelle didattiche che quelle artistiche, hanno un obiettivo comune: creare uno spazio di presenza in cui essere ed esserci. Se è questo che stai cercando, inizia da qui la tua ricerca.
Il tentativo di dare significato a sensazioni e percezioni ci precede, ce lo ritroviamo addosso: sentiamo il bisogno di mettere ordine nel polverone creato dalle emozioni. Lo facciamo cercando parole in grado di descrivere e definire ciò che sentiamo, animatə dal desiderio di distillare sentimenti ed esperienze da condividere.
Spesso però le parole che troviamo – o almeno l’uso che ne facciamo – finiscono per definirci e limitarci, ci si stringono addosso come gabbie.
Altre volte, invece, le parole proprio non ci sono.
Nel 2006, John Koenig tentava di scrivere poesie al Macalester College in Minnesota, quando si rese conto che non aveva parole per tutti i sentimenti che voleva esprimere:
Koenig ha rilevato diverse lacune nel linguaggio delle emozioni e ha coninciato a cercare le definizioni per colmarle e poter così condividere debolezze umane e sentimenti contraddittori che tuttə proviamo ma pensiamo di non poter esprimere, perché non abbiamo le parole per indicarli.
La mancanza delle parole è diventata la motivazione di una lunga ricerca che é poi diventata un progetto collaborativo e, infine, una pubblicazione: il “Dictionary of Obscure Sorrows”.
Koenig ha creato questo originale dizionario assumendo l’etimologia come criterio metodologico e invitando poi i lettori dei suoi canali web a condividere le proprie emozioni indescrivibili. Ha selezionato quelle che gli sembravano più significative e ha trovato le parole per dirle.
Il suo lavoro è stato pubblicato lo scorso autunno – dopo 12 lunghi anni di ricerca – e mi ha incuriosita subito. Non solo perché è espressione di una sensibilità tutta contemporanea per la persona e per il suo mondo interiore, ma anche perché le sue definizioni sono poetiche e parlano al cuore.
In un’intervista l’autore ha dichiarato che il modo in cui utilizziamo il linguaggio influenza il modo in cui percepiamo il mondo e, di conseguenza, il modo in cui pensiamo. È importante avere consapevolezza del fatto che il linguaggio é un codice e che lo utilizziamo per semplificare. Se dimentichiamo questo aspetto, corriamo il rischio di ricorrere alle parole per confinare le persone nei ruoli che rivestono nelle loro vite.
Le parole proposte da Koenig sono inventate e non sono riconosciute ufficialmente in nessun altro dizionario, eppure online si trova già qualcuno che le utilizza.
Leggerle ha l’effetto benefico di risvegliare un senso di appartenenza a una comune umanità: tutto il lavoro di Koenig sembra volerci ricordare che non siamo soli, che c’è sempre qualcun altro là fuori che prova la nostra stessa scintilla, lo stesso sobbalzo, lo stesso struggimento.
Ti lascio qui alcune delle mie parole preferite, con il link alle brevi clip video realizzate da Koenig per raccontarle:
Pâro: l’idea che tutto quello che fai sia sbagliato
Da “par 0” (par zero), una teorica buca in una partita di golf che significherebbe che per te è ormai troppo tardi: non importa quanto precisamente colpirai la pallina, sarai comunque indietro nel punteggio. Da mettere in parallelo con il termine spagnolo “paro”, un’interruzione o un blocco. L’accento circonflesso sulla lettera “a” simboleggia qualcuno che cerca di raggiungere qualcosa, per poi ritrarsi sconfitto.
Silience: il talento nascosto tutt’intorno a te
Da “silent”, silenzioso + “brilliance”, genialità.
Sonder: accorgersi che ognuno ha una sua storia
Il momento in cui ti accorgi che ogni passante vive una vita tanto vivida e complessa quanto la tua.
Momento di tangenza: L’istante in cui si percepisce cosa avrebbe potuto essere, ma non è stato
Opia: L’ambigua intensità del contatto visivo
L’intensità ambigua del contatto visivo con qualcuno, che può sembrare simultaneamente invasiva e vulnerabile – mentre le sue pupille rilucono, opache e senza fondo – come se si stesse sbirciando attraverso il buco di una serratura della porta di una
Se vorrai approfondire:
www.dictionaryofobscuresorrows.com
TED Talk | Beautiful new words to describe obscure emotions
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