Nel documentario “No predicted end”, in un’ora e mezza di filmato, Marina Abramović e Ulay ricostruiscono la loro incredibile storia d’amore e ricerca artistica, indagano sulle ragioni della separazione e cercano – insieme, attraverso il dialogo – la strada verso una riconciliazione profonda in grado di portarli al di là delle battaglie legali che li avevano tenuti lontani per anni.
Svestiti da ogni rabbia del passato, vulnerabili uno alle parole dell’altro e uniti dalla comune intenzione di percorrere e mostrare agli altri una via per ritrovarsi insieme, al di là del conflitto, dall’altra parte della sofferenza, Marina e Ulay scoprono che l’amore che li ha uniti è ancora lì intatto e vitale, seppure le loro vite abbiamo seguito strade separate. Più di tutto scoprono quanto la separazione sia stata necessaria per poter crescere come individui.
L’arte di Marina Abramović e Ulay può essere respingente perché si esprime in modo così intenso da apparire mera violenza sadomasochista. Io mi auguro però che tu possa andare oltre questa prima superficiale reazione e prestare ascolto all’intenzione profonda che ha animato la loro vita e ricerca. Si tratta di una domanda potentissima che si interroga sulla natura trascendente dell’essere umano e sulla difficoltà delle relazioni.
Nelle loro parole ho trovato una guida e un incoraggiamento ad accettare le lacerazioni nei rapporti con gli altri in tutta la loro profondità, accettando il rischio del dolore con la fiducia che le ferite possono essere trasformate e che dalla sofferenza può sempre derivare una crescita.
Ci siamo prestati a dimostrare l’incapacità e le paure traumatiche della relazione umana. Questo era l’accordo.
La performance Rest Energy (MoMA, 1980), “era la rappresentazione più estrema della fiducia. Eravamo entrambi in uno stato di tensione costante, ciascuno tirando dalla sua parte, con il rischio che, se Ulay avesse mollato la presa, avrei potuto trovarmi con il cuore trafitto. La performance durò 4 minuti e 20 secondi. Ci sembrarono un’eternità”.
(1:00:00) Marina: Una delle domande che ricevevamo più spesso era sul perché la freccia dell’arco dovesse puntare al mio cuore e non a quello di Ulay. La risposta di Ulay mi lasciò scioccata.
“Il suo cuore è anche il mio cuore”. – rispondeva Ulay.
Night Sea Crossing (1981-1987)
(1:02:33) Marina: “Vivere in Australia con gli aborigeni per un intero anno dal 1980 al 1981 fu un importantissimo passo avanti nella nostra visione del mondo, nella comprensione dell’umanità e della spiritualità”.
Ulay: “Vivere nel deserto, ci costrinse all’inattività a causa delle temperature estremamente alte del deserto. Questa mancanza di movimento fu un’esperienza del tutto nuova per me e Marina“.
Marina: “Fu una rivelazione così potente che non potei più rimanere in Australia. Sentimmo l’urgenza di tradurre quella esperienza in una performance per poterla condividere con gli altri. Il nostro ruolo di artisti è di essere al servizio e di dare al mondo ciò che riceviamo e scopriamo. Così lasciammo il deserto per concepire la prima performance di “Night Sea Crossing”. Night Sea simboleggia il mare del subconscio. La performance era un modo di attraversare il nostro subconscio, il nostro sé profondo“.
Ulay: “Decidemmo di tenere la performance per 19 giorni non consecutivi, in luoghi sempre differenti: a partire da Sidney per concludere a Lione.
Marina: “Era la prima volta che ci confrontavamo con una performance così impegnativa: sedere su una sedia, senza produrre alcun movimento, per 19 giorni. Senza cibo. Senza parlare. Seduti immobili uno di fronte all’altro, ai due capi estremi di un tavolo. Se avete la tentazione di pensare che sia qualcosa di semplice, vi invito a provare a stare immobili per 3 ore per comprendere la reale difficoltà della performance. Il male fisico è enorme già dopo sole 2 ore: tutti i muscoli diventano così tesi che arrivi a pensare che se non ti muovi, anche solo per un piccolo impercettibile movimento, finirai per andare a fuoco”.
Marina: “Ulay finì per stare così male che dovette alzarsi e fu poi ricoverato in ospedale. Si aspettava che anche io mi alzassi, ma non lo feci. Fra le regole che avevamo condiviso, avevamo deciso che non ci sarebbero stati finali prevedibili (no predicted end) per le nostre performance e per la nostra vita. Così rimasi seduta. Quello era il suo limite, la sua fine, non il mio. Non mi alzai e questo creò un grande squilibrio nella nostra relazione. Ulay pensava che condividere la performance significasse alzarsi nello stesso momento. Ma io non la vedevo cosi”.
Ulay: “Per me era sempre più difficile rimanere nella performance. Cominciammo a litigare come mai avevamo fatto nella nostra relazione. Ci urlavamo addosso. Marina era più forte fisicamente. Io cominciai a sviluppare una crescente avversione per la performance. La mia costituzione mi consentiva di stare intensamente nella prima parte della performance, ma non ero fisicamente strutturato per resistere a lungo nell’immobilità della posizione. Avevamo incontrato una differenza nel nostro stare nella performance, una differenza all’interno della relazione di dipendenza l’uno dall’altra: uno dei due era scomodo lì dove l’altra stava comoda. Non era mai successo prima. Decidemmo comunque di andare avanti, così come ci eravamo prefissati. A qualunque costo“.
La performance Night Sea Crossing andò avanti per 5 anni. E il costo che Ulay e Marina pagarono per portarla a termine fu la lacerazione della loro relazione d’amore.
(1:07:20) Marina: “Mi è parso incredibile aver avuto con Ulay un’intesa straordinaria negli anni in cui condividevamo un lavoro senza sosta e pieno di dinamismo e che il conflitto sia nato proprio nel momento in cui eravamo impegnati nel lavoro più profondo e spirituale che avessimo mai concepito insieme. Probabilmente si è generata aggressività a partire dalle due diverse costituzioni corporee e dalle diverse regole a cui ci siamo appellati per affrontare la difficoltà della performance. A me sembravano regole estremamente semplici e chiare: seduti, immobili, gli occhi fissi l’uno nello sguardo dell’altro fino all’orario di chiusura del museo, per 8-9 ore. È stata la performance più dura che avessimo mai affrontato. Lione è stata l’ultima tappa della performance. Io ero vestita di nero. Lui era vestito di bianco. Abbiamo terminato la performance insieme, ma quando abbiamo terminato non eravamo più insieme. La nostra relazione era finita lentamente nell’arco di quegli anni, tutto ciò che avevamo costruito era caduto a pezzi. Nella prima parte della nostra relazione tutto era movimento e dinamismo, energia pura. La seconda parte della nostra relazione era diventata molto meditativa e statica, impregnata di spiritualità sul profilo artistico e piena di turbolenza nel lato personale”.
(1:09:58) Ulay: “Credo che la ricerca della spiritualità abbia creato un limite nella nostra relazione. Un limite alla qualità energetica iniziale della nostra relazione“.
Marina: “Continuo a chiedermi perché? Perché non siamo stati capaci di andare oltre questo limite? Perché non abbiamo almeno potuto continuare a lavorare insieme? Avremmo potuto fare, di quello che stavamo vivendo, della stessa separazione, una materia di creazione artistica. Perché abbiamo avuto un punto di vista così ristretto, radicale e definitivo? Avremmo potuto esplorare tante altre possibilità di relazione”.
Ulay: “Forse per me non sarebbe stato possibile. Dal momento che ci siamo sentiti così vicini l’uno all’altra, è stato difficile pensare di diventare meno importante del lavoro artistico. Quel terzo, quella nuova entità, è importante considerarla. Siamo andati così oltre con questa ideologia, da diventare ermafroditi. Quando quella ideologia è crollata mostrando il suo limite, le cose sono cambiate. Totalmente. Avevamo qualcosa di così speciale, io e te eravamo così speciali, insieme. Come se un unico cordone ombelicale ci avesse tenuti in vita. Eravamo così connessi. E quando la relazione ha cominciato a disfarsi si è creato una specie di debito. Un vuoto. A quel punto è iniziata la paura di poter precipitare in quella voragine. Questo vuoto, questo buco, una volta creato non può essere richiuso facilmente. Non puoi compensare facilmente tutte le mancanze, tutta la pena e la sofferenza, tutti i sentimenti e le emozioni. È una brutta ferita.
Il periodo successivo alla separazione è stato terribile. Le due componenti della legante non erano più insieme, noi non eravamo più insieme. All’improvviso ce n’era solo uno e non poteva più tenerci insieme. Penso che la complessità della separazione non potrà mai più lasciare il mio corpo, né la mia mente, né la mia memoria”.
Marina piange commossa. In totale ascolto.
(1:24:32) Marina: “L’amore non è democratico. Amare significa uccidere completamente il tuo ego. Amare è tenere aperto il cuore a qualunque costo. Non avrei mai pensato di poter vivere questo giorno. Dopo 30 anni ritrovarmi qui, a parlarti, a parlare della nostra storia in questo modo”.
(1:26:00) Marina: “Se non fosse stato per Lena non saremmo qui oggi. Lei prima di noi ha compreso che guarire la ferita della separazione sarebbe stato possibile solo in questo modo. Uno di fronte all’altro. Nudi. In dialogo. Solo in questo modo è stato possibile amarci fino al punto da accompagnarci in un altro territorio. Amarci di un amore incondizionato, libero dal passato“.
Ulay: “Ci amavamo così tanto. C’era un manifesto (non scritto). Ho un sentimento profondissimo verso di te. Ma del tutto differente da quello che avevo verso di te in passato. Questo amore proviene dal profondo. Una ammirazione immensa. Nessuna traccia di invidia, né gelosia. Ammirazione. Essere innamorati è facile. È un tipo di amore molto condizionato. Condizionato dalle farfalle nello stomaco e da tutto il resto. Sono convinto che l’amore possa evolvere, possa aumentare di valore. Nel suo valore più alto, l’amore è amicizia. Non si può tornare a essere innamorati come all’inizio. Questo è un fatto. È una liberazione. Adesso ci siamo ritrovati per questo progetto. Ci ritroviamo liberati. Saggi. Questa saggezza è importantissima. L’amicizia è un sentimento più sicuro. Più puro dell’amore”.
Marina: “È stato magnifico. È stato infermo. È stato amore. È stato odio. È stato tutto. Ma non scorderò mai più quel nostro incontro al MoMa. L’unico momento in cui ho rotto le mie regole (e io non rompo mai le regole). L’ho fatto perché tu non eri un visitatore tra i tanti. Tu eri la mia vita. Tutti hanno condiviso quella nostra emozione. È così umano. Tutti sperimentiamo amore e separazione. Tutto questo era lì.”
Ulay: “E non era un concetto. Non c’era preparazione. Ne una fine prevedibile. È accaduto. Come accade la vita“.
Marina: “Questo è il momento in cui arte e vita coincidono. Mi auguro che questo film possa avere lo stesso effetto sulle persone. Se noi siamo riusciti ad affrontare tutto questo per ritrovarci sull’altra sponda, altri possono fare la stessa cosa”.