Ho chiesto alla mia amica e collega Beatrice Bragato, esperta di studi di genere e formatrice DE&I:
Dal tuo punto di vista, come possiamo essere inclusive/i nella formazione?
Come possiamo avere cura di non offendere sapendo che tutto quello che diremo lo diremo noi, dal nostro (limitato) punto di vista?
Il concetto di posizionamento e il suo ruolo nell’inclusione
Beatrice mi ha indicato la strada della politica del posizionamento.
Con parole sue: “un approccio che colloca l’essere umano in uno spazio ben preciso, definito dalle sue caratteristiche specifiche. Questa pratica ci aiuta a comprendere meglio le persone che abbiamo di fronte, le loro azioni, i loro pensieri e il contesto in cui si sviluppano. Localizzare una riflessione non significa limitarla, ma ancorarla a una realtà concreta, arricchendone il senso. Il posizionamento non mette in discussione la validità di un’idea, ma fornisce strumenti per comprenderla più a fondo”.
L’importanza del corpo nelle relazioni e nell’esperienza
Condivido con Beatrice Bragato la centralità del ‘corpo’ nelle relazioni e nell’esperienza e l’impossibilità di cancellarlo dall’equazione quando si riflette sul rapporto tra individualità / appartenenza e inclusività.
La pluralità delle realtà e il limite del linguaggio
Come coach, mi muovo da un assioma: non esiste la Realtà, esistono le realtà.
Io non posso sapere cosa sta vivendo un’altra persona. Il fatto che mi affidi a un linguaggio inclusivo può non bastare: utilizzare la stessa parola non è di per sé garanzia di essere dentro lo stesso significato.
Riflessioni sulla conoscenza e il corpo come primo luogo di esperienza
Ancora Beatrice Bragato dice: “Insegnare questi argomenti significa riconoscere che la conoscenza non è mai neutra, ma sempre situata. Il sapere accademico e le esperienze personali si intrecciano, e il corpo diventa il primo luogo della conoscenza. La riflessione non può essere slegata dal corpo perché ogni esperienza di oppressione e privilegio è vissuta materialmente: il razzismo, l’omofobia, il sessismo e l’abilismo non sono solo concetti astratti, ma realtà che incidono sulla carne, sulle emozioni, sulle vite quotidiane”.
Pratiche di formazione sensibili all’inclusione
All’estero ho partecipato a corsi di formazione con facilitatori sensibili ai temi dell’inclusione.
All’inizio di ogni incontro, dichiarano il loro posizionamento con una formula del tipo: “quello che dirò, lo dirò dal punto di vista di una persona bianca, di sesso femminile, che si identifica con questo genere, che vive in un certo luogo, ecc”. Chiedono a chi partecipa di tenere conto di questo posizionamento. Danno a chi ascolta il potere di ‘prendere’ dalla conversazione ciò che risuona e di lasciare il resto. Infine creano i presupposti affinché le persone possano dar voce alla propria esperienza e, in questo modo, moltiplicano i punti di vista. Includendo.
L’importanza di riconoscere e responsabilizzarsi del proprio posizionamento
Ancora nelle parole di Beatrice: “Riconoscere il proprio posizionamento significa non pretendere di essere neutrali, ma assumersi la responsabilità della propria prospettiva, creare uno spazio di apprendimento che valorizzi la pluralità delle esperienze”.
Come favorire un vero ascolto e l’espressione autonoma
“Dunque è importante dare voce, passare il microfono, ascoltare e non parlare al posto di qualcun altro.
Il posizionamento del soggetto serve proprio a questo: riconoscere e dare valore a tutte le variabili in gioco, senza ridurre un aspetto a discapito di un altro. Non si può pensare di parlare “per conto di” e occorre iniziare a creare spazi in cui le persone possano esprimersi da sole. Prestare attenzione alle differenze aiuta a rintracciare quel fondo di umanità alla base di ogni principio di sorellanza e fratellanza e, al tempo stesso, ci permette di approfondire la conoscenza di noi stessi e degli altri”.
Vuoi portare più consapevolezza e inclusione nella tua formazione?